“Per migliaia di anni, i gruppi umani che ce l’hanno fatta sono stati quelli che hanno trasmesso, di generazione in generazione, credenze e rituali che amplificano il potenziale aggressivo umano. Il dominio della Natura e di altri gruppi umani implica una capacità di distruggere la vita e, dunque, influenza lo sviluppo della capacità di amare”.
Sono le parole di Michel Odent (7 Gennaio 2011) a proposito del saper partorire e della ricerca sulla salute primale.
L’Umanità deve affrontare molte ‘verità scomode’. Al Gore, il vertice di Copenhagen e il concetto di ‘economia a basse emissioni’ hanno reso una di esse – il cambio climatico – di scottante attualità. Ulteriori verità scomode includono la sovrappopolazione globale, l’assottigliamento dello strato di ozono, l’inquinamento della catena alimentare marina, la crisi della biodiversità, le armi per la distruzione di massa e l’improvviso aumento dell’incidenza di alcune malattie. Noi consideriamo tutte queste scomode verità secondarie, dopo aver individuato chi è responsabile dei dilemmi attuali.
L’Homo superpredator – il tipo di Homo che attualmente domina tutte le creature del pianeta Terra – è dotato di un enorme potenziale aggressivo ed è senza dubbio responsabile delle numerose minacce che la nostra specie dovrà affrontare nel terzo millennio: questa è la Prima Scomoda Verità.
La genesi dell’homo superpredator
La questione fondamentale riguarda la genesi dei tratti principali dell’Homo superpredator. I fattori genetici sono probabilmente importanti, dato che il potenziale aggressivo del nostro parente prossimo Pan Troglodytes (lo scimpanzé comune) è ben documentato: questo cugino conosce la guerra e lo stupro; è stato osservato che l’essere umano e lo scimpanzé sono le uniche due specie che uccidono deliberatamente individui della stessa specie. Tuttavia, da un punto di vista pratico, nell’ottica di aprire la strada ad un ipotetico cambio che porti a un’umanità rinnovata, capace di vivere in modo pacifico e sostenibile, dobbiamo considerare i fattori epigenetici [1] che possono rafforzare questo carattere nell’essere umano.
Allo scopo di investigare i fattori epigenetici, innanzitutto andiamo a ritroso fino a quel momento di svolta, quando i nostri antenati hanno iniziato ad addomesticare altri esseri viventi. In seguito, i gruppi umani adattarono la loro strategia di sopravvivenza all’agricoltura e all’allevamento degli animali. La costruzione di villaggi e città conferì una nuova dimensione al concetto di territorio. Vi erano motivi aggiuntivi per conflitti territoriali ed economici.
Da questo momento in poi, la strategia di sopravvivenza dei gruppi umani si è basata sul dominio della Natura e sul dominio – o perfino l’eliminazione – di altri gruppi umani. Possiamo facilmente capire che, per migliaia di anni, i gruppi umani che ce l’hanno fatta sono stati quelli che hanno trasmesso, di generazione in generazione, credenze e rituali che amplificano il potenziale aggressivo umano. Il dominio della Natura e di altri gruppi umani implica una capacità di distruggere la vita e, dunque, influenza lo sviluppo della capacità di amare.
Nel 2010 abbiamo alcuni indizi che riguardano i momenti in cui i fattori ambientali potrebbero influenzare lo sviluppo dei tratti principali dell’Homo superpredator. Ora che concetti come espressione dei geni, geni silenti e modulazione epigenetica sono divenuti familiari nella letteratura scientifica, stiamo imparando a porci domande nuove sulla genesi delle condizioni patologiche e dei tratti di personalità. In passato, tutto si sarebbe limitato a distinguere gli aspetti dipendenti da fattori genetici da quelli dipendenti da fattori ambientali, per poi identificare i geni coinvolti. Oggi dobbiamo pensare in termini di sincronicità (‘timing’).
In merito alla genesi dei disturbi metabolici, i periodi critici significativi si trovano nella vita fetale.
Una delle funzioni della Banca Dati della Ricerca in Salute Primale [2] è quella di identificare i periodi critici per l’interazione tra geni e ambiente, riguardanti sia i tratti caratteriali che lo stato di salute. Una panoramica della Banca Dati suggerisce che, in merito alla genesi dei disturbi metabolici, i periodi critici significativi si trovano nella vita fetale, mentre il periodo attorno alla nascita sembra essere critico per la capacità di amare e il potenziale aggressivo. Di conseguenza, una ricerca nella banca dati con parole chiave che indicano delle particolarità metaboliche (come obesità, diabete di tipo II, resistenza all’insulina o malattie coronariche) conduce a studi che hanno riscontrato dei fattori di rischio prevalentemente nella vita fetale, mentre usando parole chiave che riguardano un’alterazione della capacità di amare (incluso l’amore per se stessi) conduce a studi che hanno individuato fattori di rischio prevalentemente nel periodo perinatale. È il caso di parole chiave come criminalità, autismo, suicidio, tossicodipendenza e anoressia nervosa.
Possiamo quindi presumere che, nelle società in cui lo sviluppo del potenziale aggressivo è vitale, l’ambiente culturale può interferire efficacemente proprio mediante credenze e rituali perinatali; ed è esattamente ciò che tutte le culture hanno fatto per migliaia di anni. Hanno amplificato le difficoltà del parto; hanno minato l’istinto materno aggressivo e protettivo, separando madre e neonato; hanno ritardato l’inizio dell’allattamento. (Non occorre spiegare cosa si intende per istinto materno protettivo e aggressivo: basta immaginare la reazione aggressiva di una mamma scimpanzé, a cui si cercasse di portare via il neonato).
Servirebbero tomi interi per riportare tutti i modi tradizionali di interferire con i processi fisiologici nel periodo perinatale nelle diverse culture. Una panoramica delle credenze e dei rituali più diffusi rivela che, in particolare, le cicatrici al perineo dovute alle mutilazioni genitali rituali, diversi aspetti della socializzazione del parto, l’evoluzione del ruolo dell’ostetrica, le credenze sul colostro che sarebbe nocivo o pericoloso oppure sul contatto visivo tra madre e neonato, i rituali associati al taglio precoce del cordone, il fatto che la madre debba attendere un’autorizzazione prima di poter toccare il bambino (da parte dello sciamano, del padrino, dell’ostetrica o del padre, per esempio).
L’effetto cumulato di tali credenze e rituali, così largamente diffusi, costituisce un condizionamento culturale potente; ne deriva che la donna è considerata incapace di partorire senza l’aiuto di qualcuno che la assiste, apportandole competenza ed energia, e che il neonato ha bisogno urgentemente di essere accudito da una persona diversa dalla madre.
Dall’Homo superpredator all’Homo ecologicus
Queste considerazioni sulla genesi delle caratteristiche principali dell’Homo superpredator acquistano un’importanza capitale per una svolta nella storia dell’umanità, ora che ci accorgiamo che la salute del pianeta e la sopravvivenza della nostra specie sono in pericolo. Stiamo imparando che vi sono limiti al dominio sulla Natura. La necessità di una maggiore unità nel villaggio planetario è sempre più accettata. Ci possiamo chiedere come sia possibile sviluppare il rispetto per la Madre Terra, che è una delle sfaccettature dell’amore. In altri termini, comprendiamo che l’umanità, per sopravvivere, deve inventarsi strategie radicalmente nuove. Ciò implica un’evoluzione da Homo superpredator a un essere umano che potremmo chiamare Homo ecologicus.
Innanzitutto va chiarita, sommariamente, la natura dell’attuale punto di svolta nella storia dell’umanità. Mentre, per migliaia di anni, lo sviluppo del potenziale aggressivo è stato un vantaggio, per la sopravvivenza dei gruppi umani, adesso è diventato imperativo il potenziamento della capacità di amare, per la sopravvivenza della nostra specie.
Se prendiamo come riferimento lo scimpanzé comune, come nostro parente prossimo, ne deduciamo che il potenziale aggressivo potrebbe essere determinato da fattori genetici
Se prendiamo come riferimento lo scimpanzé comune, come nostro parente prossimo, ne deduciamo che il potenziale aggressivo potrebbe essere determinato da fattori genetici. Allo stesso modo, se prendiamo come riferimento il bonobo, un altro nostro parente molto prossimo (il bonobo o Pan Paniscus, è stato di recente distinto dallo scimpanzé comune), possiamo concludere che anche la nostra evidente capacità di amare ha una forte base genetica: l’altruismo e la compassione del bonobo è ben documentata, non è stata rilevata alcuna aggressione letale, né allo stato selvatico né in cattività, non è mai risultato che il maschio imponga l’accoppiamento, picchi le femmine adulte o uccida i cuccioli.
Un simile programma è utopico?
Nel contesto scientifico attuale, è teoricamente possibile investigare il concetto di periodo critico per lo sviluppo e pianificare un’evoluzione dell’Homo superpredator che sia compatibile con la sopravvivenza della nostra specie. Intanto, occorrono ulteriori studi scientifici sui bisogni di base della donna in travaglio da un punto di vista fisiologico. Poi, avremmo bisogno di digerire i dati scientifici ottenuti per liberarci di una lunga storia di credenze e rituali che stanno perdendo il loro vantaggio evolutivo, e per finire dovremmo abbandonare il ‘politically correct’ (o osare andare controcorrente).
Un’importante scoperta della seconda metà del ventesimo secolo ci offre un esempio eloquente di quale potere abbiano le discipline scientifiche moderne per rovesciare aspetti ben radicati di condizionamento culturale. Ci è voluto fino agli anni ’50, per scoprire che il neonato umano ha bisogno della madre! Quando ero studente di medicina in un reparto maternità, nel 1953, non ho mai sentito una madre chiedere di tenere il neonato in braccio, come se, a quel tempo, tutti ‘sapessero’ che il neonato, di routine, ha bisogno di ‘cure’ da parte di una terza persona.
Tutto d’un colpo vennero pubblicati articoli di studi randomizzati e controllati sugli effetti del contatto pelle a pelle immediatamente dopo la nascita. Questi studi si ispiravano al concetto di periodo critico per l’attaccamento madre-neonato, introdotto da etologi che studiavano mammiferi non umani. Allo stesso tempo, venne avviata una nuova generazione di ricerche, riguardanti gli effetti comportamentali della fluttuazione di ormoni nel periodo perinatale.
Apparve un maggior numero di ricerche sulla composizione del colostro, sull’espressione precoce del ‘rooting reflex’ e sulla capacità del neonato di trovare il seno nella prima ora dopo la nascita. Da un punto di vista immunologico, abbiamo appreso che le IgG (Immunoglobuline G) attraversano facilmente la placenta umana, così i microbi familiari alla madre sono già familiari anche al neonato, ancora privo di germi. Questo fatto, da un punto di vista batteriologico, porta alla conclusione che – idealmente – i germi trasmessi dalla madre dovrebbero essere i primi a colonizzare il corpo del bambino. Si può affermare che i bisogni di base del neonato umano siano stati scoperti nel ventesimo secolo grazie al rapido sviluppo di svariate discipline scientifiche.
Dato che tali importanti scoperte scientifiche sui bisogni di base del neonato sono state possibili, possiamo spingerci ad affermare che, adesso, la scoperta dei bisogni di base della donna in travaglio non è più utopica – nonostante presenti difficoltà simili. Siamo in grado di prevedere che studi molto dettagliati, ispirati a un concetto fisiologico come l’antagonismo tra catecolamine [3] e ossitocina oppure l’inibizione neocorticale, apriranno fruttuose strade alla ricerca. Ci attendiamo un maggior numero di studi sul modo in cui i fattori ambientali influenzano il rilascio di ossitocina – l’ormone ‘timido’.
L’accettazione intellettuale del fatto che il neonato ha bisogno della madre, ha avuto alcune visibili implicazioni pratiche
Siamo in grado di prevedere che il passo difficile sarà ‘digerire’ le conoscenze scientifiche e renderle accettabili a livello culturale. I possibili ostacoli sono già emersi con evidenza nel caso dei bisogni di base del neonato. L’accettazione intellettuale del fatto che il neonato ha bisogno della madre, ha avuto alcune visibili implicazioni pratiche: per esempio, ha reso familiare il ‘rooming-in’ (tenere il neonato nella camera d’ospedale accanto alla madre) e, in seguito, il Kangaroo Mother Care (metodo canguro o marsupioterapia).
Tuttavia, i dati scientifici non sono stati facilmente accettati su di un piano culturale. Mentre gli scienziati osservavano l’interazione tra madre e neonato, la cultura ‘traduceva’ i risultati, affermando che “il neonato ha immediatamente bisogno dei suoi genitori”. Improvvisamente, si impose la dottrina della partecipazione del padre al parto, come se l’interazione indisturbata tra madre e neonato, senza alcuna interferenza culturale, non fosse accettabile. In questo modo, siamo passati da una generazione di operatori della nascita, che non aveva idea di cosa potesse essere l’interazione tra madre e neonato, a un’altra generazione di operatori, abituata a un nuovo aspetto della socializzazione della nascita e che non ha idea di come il parto può essere, quando non c’è nessuno accanto alla donna in travaglio ad eccezione di un’ostetrica esperta, silenziosa e dal profilo basso.
Simili ostacoli, probabilmente, ritarderanno la comprensione chiara dei bisogni di base della donna in travaglio. Gli effetti condizionanti di migliaia di anni di parto socializzato sono stati rafforzati, negli ultimi due decenni, dall’accumularsi di messaggi visivi. Si è assistito a una vera e propria epidemia di video del cosiddetto parto ‘naturale’.
Il potere di questi messaggi visivi è enorme, in termini di condizionamento culturale. Nella maggior parte dei casi, si mostra la donna in travaglio attorniata da due o tre persone (incluso un uomo) che la osservano (e, naturalmente, c’è anche la telecamera). Questo tipo di parto viene presentato come ‘naturale’, perché avviene a casa, o perché la madre è carponi, o ancora perché è immersa nell’acqua. Ma l’ambiente è innaturale. Il messaggio trasmesso da queste potenti immagini, assieme al vocabolario corrente, è il seguente: “non puoi partorire senza la partecipazione di persone che ti apportano competenza (guida, istruzioni, ecc.) oppure energia (sostegno, ecc). Siamo in grado di andare oltre un condizionamento culturale forte a tal punto?
Il divario tra conoscenze e consapevolezza
In un periodo in cui la ricerca scientifica si sta sviluppando a una velocità mai vista, ogni domanda correlata alla sopravvivenza della nostra specie induce domande sulla capacità umana di digerire le conoscenze scientifiche. In altre parole, sta diventando più cruciale che mai addentrarsi in quel costante divario tra conoscenze e consapevolezza.
Le conoscenze scientifiche possono indurre e stimolare una consapevolezza nuova. La scoperta che il neonato ha bisogno della madre è un esempio tipico di quei dati scientifici che possono essere all’origine di una consapevolezza nuova. D’altra parte, una consapevolezza nuova può precedere le conoscenze scientifiche, oppure può aiutare a valutare l’importanza dei dati scientifici. Inoltre, troppe informazioni fornite da discipline altamente specializzate possono ostacolare l’emergere di una nuova consapevolezza.
Un buon esempio a questo proposito è il gran numero di ginecologhe donne che, secondo inchieste britanniche e americane, pianifica un cesareo per il proprio parto e considera l’operazione un modo ordinario di partorire. Il loro atteggiamento è comprensibile, dato che sono molto specializzate e hanno in mente soltanto i risultati degli innumerevoli studi randomizzati controllati che suggeriscono come, secondo i criteri usati convenzionalmente nella ricerca medica per valutare le pratiche ostetriche, il cesareo sia un’opzione facile e sicura.
L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare le condizioni affinché il maggior numero possibile di donne partoriscano il bambino e la placenta grazie al rilascio degli ormoni naturali
Altre donne, che non sono influenzate dallo stesso tipo di informazioni, hanno raggiunto un grado di consapevolezza maggiore e considerano la via addominale inaccettabile, come prima opzione. La consapevolezza può essere indotta da una conoscenza intuitiva (un ‘sapere’), che precede gli effetti dei dati scientifici.
L’importanza di essere bilingui
Dappertutto nel mondo esistono nuclei di persone all’avanguardia, che hanno la particolare capacità di raggiungere una consapevolezza nuova prima degli altri. È loro dovere essere d’aiuto nel dare avvio e nel diffondere una nuova consapevolezza. Fintanto che cercano di trasmettere unicamente la loro conoscenza intuitiva – fintanto che parlano solo il ‘linguaggio del cuore’ – sono inefficaci. Per essere influenti, devono dare un’impostazione razionale al loro ‘buon sentire’. Devono allenarsi a diventare ‘bilingui’ – vale a dire, imparare a integrare il ‘linguaggio del cuore’, la trasmissione della conoscenza intuitiva, con il linguaggio scientifico. È diventato facile mettere assieme questi due linguaggi.
Allo scopo di illustrare la necessità di essere ‘bilingui’, prediamo ad esempio coloro che considerano il cesareo il modo preferibile di partorire. Come aiutarli a raggiungere un altro livello di consapevolezza? Nel contesto scientifico attuale, è facile spiegare che tutti i mammiferi, inclusi i mammiferi umani, per la nascita dei piccoli e della placenta sono destinati a rilasciare un ‘cocktail di ormoni dell’amore’.
È anche facile ricordare che, fino a poco tempo fa, nonostante le interferenze culturali, una donna poteva partorire soltanto affidandosi al rilascio di quel flusso ormonale. Senza dover presentare ampie statistiche, possiamo facilmente prevedere che, a livello planetario, il numero di donne che danno alla luce il bambino e la placenta grazie al rilascio di un flusso ormonale naturale si sta avvicinando allo zero. Molte donne che partoriscono ancora per via vaginale necessitano infatti di sostituti farmacologici, che bloccano il rilascio degli ormoni naturali senza però presentare identici effetti comportamentali.
È un modo semplice per spiegare che la storia della nascita si trova a un punto di svolta; è un modo semplice per suggerire che gli ormoni dell’amore stanno diventando inutili nel periodo critico attorno alla nascita; è un modo semplice per porsi domande in termini di civiltà; è un modo semplice per chiarire quali dovrebbero essere gli obiettivi. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di eliminare il cesareo, che è una magnifica operazione di soccorso. L’obiettivo dovrebbe essere quello di creare le condizioni affinché il maggior numero possibile di donne partoriscano il bambino e la placenta grazie al rilascio degli ormoni naturali. Questo obiettivo diventerà realistico soltanto il giorno in cui i bisogni di base della donna in travaglio saranno ben compresi.
Indipendentemente dalla loro formazione, tutti coloro che si rendono conto di come l’intelligente Homo superpredator è stato capace di rendere gli ormoni dell’amore inutili, si chiederanno cosa succederà alla nostra civiltà, se le prossime generazioni continueranno nella stessa direzione.
Molte donne che partoriscono ancora per via vaginale necessitano di sostituti farmacologici
Infatti, il linguaggio scientifico ci aiuta a renderci conto e a spiegare razionalmente la necessità di raggiungere una dimensione collettiva. Perciò non possiamo fare riferimento a modelli animali. Tra i mammiferi non-umani, quando si disturba il processo della nascita, gli effetti sono spettacolari e immediati a livello individuale: in generale, la madre non si interessa al neonato. Tra gli esseri umani, sono necessari studi a lungo termine coinvolgenti enormi numeri per individuare effetti significanti.
Diventa evidente quando si esplora la Banca Dati della Ricerca in Salute Primale. Per esempio, è stato necessario uno studio effettuato sull’intera popolazione femminile svedese nata nel corso di dieci anni per dimostrare che il parto con forcipe o con ventosa è statisticamente significativo per lo sviluppo dell’anoressia nervosa più tardi nella vita; allo stesso modo, è stata necessaria la valutazione di più di 50.000 soggetti maschi nati a Gerusalemme nel corso di otto anni per dimostrare che il quoziente di intelligenza medio era significativamente più alto in chi era nato con il forcipe o con la ventosa.
Abbiamo urgentemente bisogno di sviluppare quella branca dell’epidemiologia chiamata Ricerca in Salute Primale, per allenarci ad ampliare il nostro orizzonte, in vista del necessario passaggio verso l’Homo ecologicus. È possibile modificare, deliberatamente e coscientemente, i tratti dominanti dell’Homo superpredator grazie a un processo di modulazione epigenetica? Possiamo sognare una simile tappa nella storia dell’umanità![4].
[1] Epigenetica: studio dei cambiamenti ereditabili della funzione dei geni, non indotti da modifiche nella sequenza di DNA.
[2] ANEP Italia
[3] Derivanti dall’amminoacido tirosina, sono legate per il 50% alle proteine del plasma, cosicché circolano nel sangue.
[4] Pubblicazione quadrimestrale del Centro Ricerca in Salute Primale_Primavera 2010_Vol.17 No.4. Traduzione di Clara Scropetta.
Dicono di noi
Voce alle mamme
Ci tenevo a ringraziare tutte voi per l’immenso e preziosissimo supporto…
Fatti in casa – voce ai babbi
Il 16 marzo 2021 alle ore 15:50 è nata la nostra piccola Frida. Per scelta mia…
Voce ai babbi
Ciao Elena! Ti volevo ringraziare davvero tanto per averci assistito con la tua…